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LA PROPOSTA DEL PART-TIME COSTITUISCE LA PROVA DELL’AVVENUTO TENTATIVO DI REPÊCHAGE

Con l’ordinanza n. 1499 del 21 gennaio 2019 la Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione ha stabilito che la proposta di part-time alternativa al licenziamento per motivo oggettivo dimostra l’avvenuto obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro. La giurisprudenza di legittimità è dunque intervenuta facendo chiarezza su una questione del tutto peculiare, riconducibile all’operatività della disciplina di cui all’art. 8 del D.lgs. 15 giugno 2015 n. 81 sul tema della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale (o viceversa), con cui viene stabilito chiaramente come il rifiuto del dipendente di modificare il proprio orario lavorativo non possa in alcun modo costituire un motivo di licenziamento legittimo. Si tratta certamente di un divieto introdotto a tutela del lavoratore dipendente nel momento in cui rifiuti una modifica del proprio tempo di lavoro che tuttavia, nei sui risvolti operativi, impone di ricercare al contempo anche un equo bilanciamento tra la tutela offerta al lavoratore ed il diritto del datore di lavoro ad organizzare la propria attività aziendale secondo le proprie libere scelte imprenditoriali costituzionalmente garantite. Il riferimento è in particolare a tutti quei casi in cui la proposta datoriale di modificare l’orario di lavoro sia concretamente riconducibile al tentativo di reimpiegare il lavoratore all’interno della propria struttura organizzativa, tutto ciò al fine di evitare un recesso dal rapporto per motivo oggettivo. Con la pronuncia in esame la Cassazione è dunque intervenuta per fornire un utile chiarimento sulla questione, individuando nel rifiuto della proposta datoriale di riduzione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale la prova dell’avvenuto tentativo di repêchage da parte del datore di lavoro. La decisione trae origine dalla vicenda di una lavoratrice che, nell’ambito della dismissione delle attività del settore banco e biglietteria aerea presso le quali era addetta, veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo dopo aver rifiutato la proposta avanzata dal datore di lavoro di modificare il proprio orario lavorativo. In particolare, la Suprema Corte ha respinto la richiesta della lavoratrice di annullamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatole (ad avviso della quale la proposta di riduzione di orario di lavoro non poteva costituire un valido tentativo di repêchage), convalidando così le conclusioni rese dalla Corte d’Appello di Ancona nel senso della legittimità del licenziamento. Nel casoin commentoi Giudici di legittimità hanno innanzitutto precisato come fosse emerso chiaramente che la lavoratrice era stata licenziata nell’ambito della dismissione delle attività del dipartimento aziendale presso cui era impiegata. Inoltre, la Corte ha sottolineato come la richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro costituisca la prova dell’avvenuto tentativo di repêchage da parte dell’imprenditore, a nulla rilevando la circostanza che l’azienda avesse assunto un’altra persona dopo un anno (il nuovo ingresso risultava infatti avvenuto non in sostituzione della lavoratrice licenziata per giustificato motivo oggettivo, ma riguardava un’altra dipendente cessata). Ed infatti, fermo restando che, ai fini della legittimità del recesso per giustificato motivo oggettivo, l’onere di dar prova da parte del datore di lavoro presuppone la dimostrazione dell’effettiva soppressione della posizione lavorativa del dipendente licenziato nonchè dell’impossibile diversa collocazione dello stesso in un’altra posizione analoga a quella in esubero, tale onere risulta assolto anche laddove la parte datoriale proponga al dipendente la trasformazione (seppur rifiutata) del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time. Tale condotta è infatti idonea a dimostrare l’avvenuto e concreto tentativo di repêchage posto in essere dall’imprenditore che prima di procedere al licenziamento dello stesso si è adoperato per fornire un’altra occupazione al lavoratore. Il datore di lavoro può dunque considerare correttamente assolto l’obbligo del repêchage laddove il lavoratore rifiuti di trasformare il proprio contratto di lavoro da full time a part time. Di conseguenza, in tali casi il licenziamento per giustificato motivo dovrà considerarsi pienamente legittimo. In conclusione, pertanto, con tale decisione la Suprema Corte è così intervenuta per stabilire un bilanciamento necessario tra le ragioni datoriali e quelle dei lavoratori dipendenti, solo in apparente contrasto con le disposizioni del Jobs Act. Infatti, fermo restando la vigenza del divieto legislativo di compiere atti ritorsivi e/o discriminatori nei confronti del lavoratore che rifiuti di modificare il proprio tempo di lavoro di ex art. 8, D.lgs. 81/2015, tale norma non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la proposta di trasformazione del rapporto di lavoro sia diretta ad evitare il licenziamento di un dipendente in esubero.

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