In particolare, procedendo con ordine:
A) ACQUISTO CARBURANTE CON SOLA CARTA CREDITO
Il D.L. n. 70/2011 (c.d. “Decreto Sviluppo) ha previsto all’art. 7 l’abolizione della scheda carburanti per i soggetti IVA che effettuano i pagamenti degli acquisti di carburante esclusivamente con moneta elettronica e, cioè, utilizzando carte di credito, carte di debito e tutte quelle prepagate emesse da intermediari soggetti alle disposizioni sull’anagrafe dei rapporti finanziari di cui al D.P.R. n. 605/1973 (sostanzialmente i maggiori e più noti operatori nel settore carte credito). Tuttavia, si deve anche specificare che se questa è la linea di principio prevista dalla norma, sul punto è intervenuta anche l’Agenzia delle Entrate che, con la circolare n. 42/E/2012 ha stabilito che “… per poter beneficiare dell’esonero di dover utilizzare la scheda carburanti per documentare gli acquisti degli stessi, occorre che le modalità di pagamento con carte di debito o di credito riguardi: la totalità degli acquisti … tutti i veicoli utilizzati dal medesimo soggetto per lo svolgimento dell’attività”.
E’ evidente, quindi, che nel caso in esame l’acquisto sporadico di carburante con carta di credito per un mezzo dell’azienda si configura come un costo non adeguatamente documentato e, quindi, indeducibile in quanto difetta delle modalità di esecuzione con cui deve avvenire così come specificate dalla stessa Agenzia delle Entrate.
B) VENDITA AUTOVETTURA IN UN PAESE U.E. ORIGINAMENTE ACQUISTATA CON IL REGIME DEL MARGINE
Stando alle disposizioni normative di cui all’art. 36 D.L. n. 41/1995 un soggetto passivo d’imposta italiano, può applicare il regime del margine nella rivendita di un bene usato (nel caso di specie autovettura) quando, in origine, lo ha acquistato:
– da un privato;
– da un operatore economico che non ha potuto esercitare il diritto a detrazione;
– da un soggetto passivo d’imposta comunitario in regime di franchigia nel proprio Stato Membro;
– da un soggetto passivo (nazionale o comunitario) che ha applicato, a sua volta, il regime del margine proprio come nel caso in esame.
Stando, inoltre alle disposizionI di cui all’art. 37, co. 2 D.L. n. 41/1995 nonché alle indicazioni di cui alla circolare n. 40/E/2003, si chiarisce che nel caso in cui venga applicato il regime del margine nella successiva fase di rivendita di un bene usato verso un soggetto passivo comunitario, non si realizza una cessione intracomunitaria pur rimanendo l’obbligo di presentazione dei modelli INTRASTAT a soli fini statistici. L’IVA quindi non dovrà essere “assolta” nel paese di destinazione, ma in quello d’origine solo in caso di margine positivo.
Analogo discorso vale qualora l’autovettura venga ceduta ad un soggetto privato comunitario: anche in questo frangente si potrà applicare il regime del margine, ma non sarà necessario procedere con riepilogo a fini statistici negli elenchi INTRASTAT.
Per quanto riguarda, invece, il lato pratico già nella fase di originario acquisto l’autovettura aveva scontato l’applicazione dell’art. 36 D.L. n. 41/1995, meglio noto come “regime del margine”.
Proprio in virtù del citato regime fiscale, anche in fase di successiva rivendita, poiché l’autovettura è usata ed è suscettibile di possibile riutilizzo, si può richiamare la medesima disciplina IVA. Pertanto, la Società al momento della cessione dovrà emettere una fattura senza esporre l’IVA, fino a concorrenza dell’originario importo.
Si ricorda, inoltre, che in fattura dovrà essere riportata la seguente dicitura “operazione effettuata in regime del margine ai sensi dell’art. 36 D.L. n. 41/1995″.
Infine, per completezza sull’argomento trattato, poiché l’autovettura risulta già ampiamente ammortizzata in fase di cessione si genererà una plusvalenza che concorrerà alla determinazione delle imposte dirette.
C) DISMISSIONE DI BENI OBSOLETI ED ELIMINAZIONE CONTABILE
Prima di soffermarsi sull’iter che deve essere rispettato in questo genere di operazioni, si vuol sottolineare come la tematica proposta comporti riflessi fiscali non di poco conto, come ad esempio quello della presunzione di cessione dei cespiti, qualora questi non siano più nella disponibilità dell’impresa.
In particolare la c.d. “presunzione di cessione” è contenuta nelle disposizioni di cui al D.P.R. n. 441/1997, dove per effetto dell’art. 1, comma 1, si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti dall’impresa stessa, che non si trovano più nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. Con riferimento al luogo in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, l’art. 1, comma 3, indica espressamente le “sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa.”
Con riferimento al presente quesito, risulta rilevante la previsione contenuta al comma 2 lett. a), secondo cui: “la presunzione di cui al comma 1 non opera se è dimostrato che i beni stessi: sono stati impiegati per la produzione, distrutti o perduti.”
Pertanto, ciò che per la società sarà importante conoscere sono gli adempimenti fissati dalla legge che il contribuente deve porre in essere per “vincere” la presunzione di cessione, e provare, quindi, che i beni non sono stati venduti.
L’eliminazione fisica del bene strumentale mediante rottamazione comporta l’osservanza di due differenti iter burocratici a seconda che la società si rivolga ad operatori terzi autorizzati, oppure proceda autonomamente (tali procedure sono illustrate dettagliatamente nella C.M. 23.07.1998 n.193/E). In particolare, nel caso in cui la società si rivolga ad operatori specializzati nello smaltimento dei rifiuti allo scopo di superare un’eventuale “presunzione di cessione”, con indebito assolvimento dell’imposta, ai sensi delle disposizioni contenute nell’art. 2 del D.P.R. n.441/1997, sarà necessario e sufficiente possedere la seguente documentazione:
a) documento di cui al D.P.R. n.472/1996 (meglio noto come D.D.T.) dal quale risulta il trasporto dei beni oggetto dello smaltimento con esposizione della causale “rottamazione”;
b) formulario di identificazione di cui all’art. 193 del D.lgs. n.152/2006 per lo smaltimento dei rifiuti, il quale deve essere obbligatoriamente vidimato dall’Agenzia delle Entrate o dalle Camere di Commercio, e deve recare, tra l’altro, le caratteristiche del rifiuto, ossia la sua descrizione e lo stato fisico .
Tutto ciò, se rispettato, comporta il superamento della presunzione di cessione sia ai fini I.V.A. che delle imposte sui redditi. Naturalmente, nel momento in cui la società si rivolge a tali operatori autorizzati la documentazione suddetta verrà predisposta e consegnata da loro.
Nel caso particolare di dismissione di apparecchiature elettriche ed elettroniche (ad esempio stampante – rifiuto RAEE), la normativa fiscale s’intreccia con la ben più rilevante normativa di tutela ambientale prevista dal D.lgs. n.151/2005, il quale prevede sanzioni penali in caso d’inosservanza.
Infatti tutte le aziende che abbiano inserito nei loro cespiti degli apparecchi elettrici ed elettronici (come ad esempio i pc, i condizionatori, i telefonini, gli apparecchi di illuminazione, etc.) devono sottostare alle regole definite dal D.lgs. n.151/2005 per il loro smaltimento. In sintesi, queste apparecchiature non possono essere portate alle piazzole comunali (procedimento di smaltimento previsto per i soggetti privati) ma devono essere conferite ai centri di raccolta tramite operatore specializzato.
In alternativa allo smaltimento tramite operatori specializzati, la dismissione dei beni strumentali dell’impresa potrebbe essere effettuata mediante assegnazione ai soci o cessione a titolo gratuito verso soggetti terzi privati o operatori I.V.A.; saranno poi tali soggetti che si occuperanno a loro volta dello smaltimento dei beni, rivolgendosi alle apposite piazzole ecologiche site nei diversi Comuni (se soggetti privati) o rivolgendosi agli stessi operatori specializzati di cui sopra (se operatori economici). In questo caso la cessione gratuita o l’assegnazione va fatturata e assoggettata ad IVA, in quanto all’atto dell’acquisto l’imposta è stata detratta.
A riguardo si segnala che l’art. 13 del D.P.R. n.633/1972, al comma 2, prevede che in caso di autoconsumo o cessione a titolo gratuito la base imponibile è costituita dal costo di acquisto o in mancanza dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni: dal dettato normativo emerge una notevole incertezza in merito al valore d’attribuire a tali beni oggetto della cessione gratuita o dell’assegnazione (tale valore, in base al dettato letterale della norma, dovrebbe essere costituito dal prezzo d’acquisto dei beni), con il rischio di incorrere in attività di accertamento della base imponibile da parte dell’Amministrazione finanziaria, nel caso si esponesse un valore minore. Pertanto, si consiglia la dismissione dei singoli cespiti mediante ricorso ad appositi operatori specializzati nello smaltimento dei rifiuti.
Infine, dal punto di vista contabile lo smaltimento di cespiti comporta lo stralcio dei conti accessi all’immobilizzazione: bisogna perciò, stornare il fondo ammortamento, girandolo al conto di riferimento del singolo cespite. Qualora il bene non sia stato interamente ammortizzato, deve essere rilevata una minusvalenza ordinaria (da iscriversi in C.E. alla voce B.14 “Oneri diversi di gestione”) deducibile ai fini IRES (art. 102, comma 4, TUIR) e IRAP; viceversa, se il cespite ha già subito interamente il processo di ammortamento, il giroconto distoglierà unicamente il bene dallo stato patrimoniale, senza che l’operazione abbia alcuna incidenza dal punto di vista economico.