Quesiti e approfondimenti

MERCATI FINANZIARI 2018: SEGNI DI UNA NUOVA CRISI?

A meno di inversioni di tendenza negli ultimi giorni, il 2018 si chiuderà come uno degli anni post crisi più negativi in termini di performance dei mercati finanziari. La fine del 2017 lasciava presagire un altro anno di crescita borsistica con continui ritocchi dei massimi di sempre (DJ e DAX). Le dispute commerciali tra USA e Cina, la fragilità di alcuni paesi dell’area Euro (vedi Italia), la volatilità dei prezzi del petrolio e la fine delle politiche monetarie accomodanti (BCE e aumenti tassi USA) hanno reso il 2018 un anno particolarmente “nervoso” con performance negative su quasi tutti i comparti finanziari. Il venir meno delle politiche accomodanti delle banche centrali sembra aver fatto perdere la bussola agli investitori e aumentato le incertezze sul futuro dell’economia.  Il grafico sottostante riporta l’andamento dei principali indici di borsa mondiali nonché di materie prime come oro e petrolio. Le performances sono negative per tutti gli indicatori presi in esame. Se consideriamo le borse principali, il Dow Jones ha avuto un calo dell’8% “solamente”. In leggero calo anche il prezzo dell’oro, bene rifugio per eccellenza. La flessione di borsa ha riguardato anche economie solide come quella cinese e tedesca. Le cause di questo andamento si possono riassumere nell’inversione delle politiche monetarie delle banche centrali (principalmente FED), tensioni commerciali USA-CINA nonché segnali di rallentamento dell’economia globale. Il fattore più importante è preoccupante è sicuramente quello di un possibile rallentamento dell’economia. I mercati finanziari sono anticipatori di quello che sarà l’andamento dell’economia reale ed un simile andamento nel 2018 non fa che alimentare la domanda “quando ci sarà la prossima crisi”? Questa domanda incombe soprattutto sull’economia USA che viene da 9 anni di crescita ininterrotta con una media del 2,25% annuo e con una disoccupazione ai minimi storici (fonte: Sole 24 Ore). La capacità di risposta alle crisi negli USA è sicuramente più rapida ed efficace rispetto al continente europeo ed anche i continui aumenti dei tassi di riferimento da parte della FED vanno letti in quest’ottica.  L’uscita della FED dalle politiche monetarie non convenzionali ed i recenti aumenti dei tassi (tasso di riferimento al 2,50%) offrono alla banca centrale americana gli strumenti di politica monetaria necessari per fronteggiare una nuova crisi. Lo stesso però non si può affermare della BCE. Un calo dell’economia USA trascinerebbe a ribasso anche le più fragili economie dell’unione europea che nell’ultimo decennio non hanno potuto beneficiare degli stessi tassi di crescita dell’economia americana. Per fronteggiare un’eventuale nuova crisi economica nell’area euro, gli strumenti di politica monetaria a disposizione sono limitati rispetto alla FED (e rispetto al passato). I tassi di deposito presso la BCE sono in territorio negativo da marzo 2016 (-0,40%) ed il tasso sulle operazioni di rifinanziamento a “0” dalla stessa data. Ulteriori riduzioni paiono improbabili e pertanto l’unica strada percorribile rimane quella della politica non convenzionali (nuovi QE e nuove operazioni di TLTRO). Nel mondo finanziario il timing è fondamentale ed è altrettanto importante ricordare che è impossibile fare previsioni accurate sul futuro. L’analisi dei dati però ci può aiutare a comprendere le dinamiche in corso ed a non sottovalutare le informazioni in essi contenute. L’incertezza dei mercati finanziari, politiche monetarie restrittive, l’appiattamento della curva dei rendimenti dei tassi, l’instabilità politica di alcuni paesi UE, il ritorno di protezionismi commerciali “alla Trump” sono elementi macro che con buona probabilità porteranno ad un nuovo rallentamento economico.

 

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