Le regole che nel caso in esame determinano il diritto alla rettifica dell’IVA versata trovano disciplina specifica all’art. 26, co. 2, D.P.R. 633/1972 e nella C.M. 77/E/2000.
In particolare, l’art. 26 co. 2, D.P.R. 633/1972 prevede che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di (…) o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali (…) il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25.”
L’operatività della disposizione legittimante la variazione in diminuzione è, innanzitutto, condizionata, al presupposto che per l’operazione posta in essere sia stata emessa e registrata la relativa fattura. Ove ciò sia avvenuto è necessario accertare il momento in cui scaturisce il diritto alla valida emissione della nota di accredito. In particolare, si ritiene che il cedente del bene o prestatore del servizio, nell’ipotesi di procedura concordataria, possa esercitare tale facoltà solo dopo la conseguita certezza della rilevata infruttuosità del credito.
Al fine di accertare la predetta infruttuosità occorre aver riguardo oltre che alla sentenza di omologazione del concordato (art. 181 legge fallimentare) divenuta definitiva, anche al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato (quindi alla conclusione del piano, momento sicuramente successivo al passaggio in giudicato del provvedimento di omologa).
Per quanto detto sopra, nel concordato preventivo sono legittimati ad emettere nota di accredito IVA soltanto i creditori chirografari per la parte percentuale del loro credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato. Nell’ipotesi di procedure concorsuali, la procedura di rettifica IVA può essere utilizzata senza limiti di tempo, tuttavia, la nota di accredito non può più essere emessa una volta che siano decorsi i termini per esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta (il quale può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione).
La C.M. 77/E/2000 precisa poi che la variazione in diminuzione deve essere operata sia riguardo all’imponibile che alla relativa imposta.
Ciò discende oltre che dalla formulazione dell’articolo 26, secondo comma, del D.P.R. 633/1972, anche dalla ulteriore considerazione che i due presupposti (mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose) sono inscindibilmente legati alla cessione del bene o alla prestazione del servizio già eseguite e il loro verificarsi importa l’effetto di far venire meno, in tutto o in parte, ai soli fini dell’IVA, l’originaria operazione imponibile.
Sulla base di quanto sopra, si ritiene pertanto che nel caso in esame possa essere operata, mediante l’emissione di una nota di accredito IVA, una variazione in diminuzione nella misura del 70% (quota corrispondente al credito che non trova accoglimento con la chiusura del concordato) sia dell’imponibile con aliquota al 4%, sia dell’imponibile con aliquota al 20% (utilizzando quindi le stesse aliquote vigenti al momento della fatturazione), con conseguente diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione operata.