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Trattamento IVA indennità risoluzione contrattuale anticipata contratto di distribuzione con soggetto extra-UE

Sul punto, prima di procedere oltre ci sembra opportuno chiarire il fatto che, in linea generale, nel contratto di concessione/distribuzione a tempo determinato le parti non possono recedere, salvo la diversa regolamentazione pattizia del rapporto, ma solo risolvere il contratto nel caso in cui si verifichi un inadempimento tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti (art. 1569 Cod. Civ.). Una volta giunto alla scadenza “naturalmente pattuita”, nei casi di stipula di contratto a tempo determinato, il concessionario non potrà invocare il risarcimento del danno ove non intervenga il rinnovo del rapporto, in quanto lo stesso concessionario ben conscio dell’alea che circonda la proroga contrattuale ha il “dovere” di tutelarsi con la ricerca di potenziali nuovi concedenti.

Nel caso di recesso senza preavviso, invece, nulla quaestio se la risoluzione è dovuta per inadempimento del receduto: il contratto termina con la comunicazione del recesso, e nessuna pretesa potrà essere fatta valere dal receduto. Rimane, comunque, salva l’ipotesi di richiesta danni da parte del recedente.

Se, invece, il mancato preavviso non trova una giustificazione, o nel caso in cui vi sia la risoluzione del rapporto per cause non preventivamente pattuite o concordemente individuate tra le parti, il recedente sarà tenuto al risarcimento del danno che, qualora a recedere sia il concedente, sarà costituito dai mancati guadagni che il concessionario avrebbe realizzato fino al termine del contratto, eventualmente opportunamente rivisti.

E’ evidente, quindi, che alla luce delle considerazioni appena formulate, le modalità con cui si è concluso il contratto di distribuzione siglato con il soggetto U.S.A. ricadono a pieno in quanto illustrato: ci troviamo di fronte ad una causa di risoluzione “improvvisa”, non precedentemente concordata con la controparte. In tale ipotesi, quindi, il soggetto concedente/recedente (U.S.A.), dovrebbe riconoscere una somma quale indennità per mancati ricavi che il concessionario non potrà più avere non potendo più commercializzare i prodotti a marchio U.S.A.. Dalla documentazione in possesso, in prima battuta nelle fasi di trattativa, l’indennità era stata riconosciuta nella misura del X% del fatturato che il concessionario avrebbe potuto conseguire, a parità di volume di vendite 2011, negli ultimi 13 mesi di durata del contratto (modalità di calcolo molto similari a quelle utilizzate nelle quantificazioni dell’indennità suppletiva di clientela nei contratti di agenzia). Come poi precisato, e conseguentemente specificato nell’accordo risolutivo, l’indennizzo è stato quindi rivisto e rideterminato in Euro YYY.YYY.

Per completezza sull’argomento in questione, pur avendo inquadrato e ben compreso l’articolazione dell’intera situazione, riteniamo che la formulazione della risoluzione contrattuale (termination agreement) sia deficitaria, del fatto che l’importo di Euro YYY.YYY non venga mai qualificato come indennità o “buono uscita” (goodwill), anzi venga assimilato ad un compenso per la cessione del “portafoglio clienti”, al pari di una sorta di “avviamento commerciale” e contestuale assunzione di “obblighi di fare” (sul punto si veda il passaggio relativo al subentro di U.S.A. in tutti gli adempimenti relativi alle garanzie sui prodotti, nonché aggiornamento e rispetto della regolamentazione medica dei dispositivi e quant’altro).

Qualora, quindi, si volesse interpretare in maniera “stringente” e letterale la formulazione delle clausole del “termination agreement”, conferendo al compenso della risoluzione contrattuale connotazione di corrispettivo per la cessione del “portafoglio clienti”, e non di indennizzo, è chiaro che ci troveremmo di fronte ad una prestazione di servizi, in cui il cedente si assume l’obbligo di favorire il passaggio dei rapporti commerciali in essere con la propria clientela al soggetto subentrante (U.S.A.).

Pertanto, ai fini della disamina della questione, riteniamo opportuno abbracciare l’approccio più prudenziale e stringente e, quindi, considerare l’intero importo pattuito quale corrispettivo per la cessione del portafoglio clienti al pari di una prestazione di servizi resa a soggetto comunitario.

Di conseguenza, poiché il compenso pattuito è interamente qualificato come corrispettivo per la cessione del “portafoglio clienti” (soluzione maggiormente prudenziale vista la formulazione ufficiale dei termini dell’accordo), ai fini del trattamento IVA viene ricondotto nell’alveo delle prestazioni di servizio, rilevante ai sensi dell’art. 3 D.P.R. n. 633/72. Tuttavia essendo “il servizio” commissionato da un operatore comunitario soggetto passivo d’imposta europeo e trattandosi di una prestazione di servizi generica, l’operazione è deficitaria del requisito della territorialità a norma dell’art. 7-ter D.P.R. n. 633/72.

Bisognerà quindi emettere fattura per operazione fuori campo IVA, entro il giorno del pagamento della stessa.

Sul punto, però, vogliamo richiamare la Vostra attenzione sottolineando il fatto che prima di emettere fattura con richiamo al citato articolo 7-ter, è necessario procedere alla verifica dello status di operatore U.E. abilitato agli scambi intracomunitari relativamente al committente, mediante riscontro dell’inserimento della partita I.V.A. della stessa negli elenchi VIES.

Soddisfatti tutti questi requisiti, l’operazione sarà qualificabile come prestazione comunitaria di servizi, non imponibile I.V.A. ai sensi dell’art. 7-ter D.P.R. n. 633/72, e soggetta all’obbligo di inserimento negli elenchi INTRASTAT di periodo nella sezione INTRA-1 quater.

Ai fini contabili si consiglia di iscrivere la somma tra gli altri ricavi e proventi, e la stessa sarà rilevante ai fini IRES e IRAP.

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