In merito, sono opportune alcune considerazioni di natura prettamente civilistica.
Dal punto di visto civilistico non si rinviene nel Codice Civile una norma che inquadri specificamente il trattamento di fine mandato agli amministratori.
Tuttavia esso trova legittimazione, secondo la maggior parte della dottrina, in alcune norme del Codice Civile, e in particolare:
– art. 2120: “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto …(omissis)…La quota “(…) comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.”
– art. 2364: “Nelle società prive del consiglio di sorveglianza, l’assemblea ordinaria:
3) determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto;(…)”
– art. 2389: “I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea (…)”.
L’art. 2120 del Codice civile mette in luce come in tutti i casi di risoluzione del rapporto di lavoro subordinato il prestatore abbia diritto ad un’indennità calcolata sulla base di appositi parametri. Ciò, con la precisazione che dal 2001 i redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa – caratteristica tipica dei compensi percepiti dagli amministratori di società – sono assimilati ai redditi derivanti da lavoro dipendente.
Gli artt. 2164 e 2389 del Codice civile, invece, attribuiscono all’assemblea o allo statuto la previsione e la determinazione del compenso agli amministratori: esso può essere determinato in misura fissa, in riferimento ai criteri stabiliti per il Tfr (art. 2120 Cod. Civ.) o ancora può essere commisurato sulla base di appositi parametri come gli utili conseguiti o di anni precedenti e così via.
A tal proposito importante è stata la presa di posizione di Assonime, che con l’approfondimento n. 2 di marzo 2011 ha sottolineato che la previsione di tale trattamento può essere fatta rientrare nella nozione stessa del compenso attribuito all’organo amministrativo. A detta della dottrina, a seguito di tale interpretazione l’erogazione di un trattamento di fine mandato a favore dell’organo amministrativo non deve essere inteso, sulla falsa riga di quanto previsto nel caso dei lavoratori dipendenti, quale un obbligo. La previsione di tale onorario costituisce, infatti, solamente una modalità di erogazione del compenso complessivo deliberato a favore dell’organo amministrativo e non costituisce, pertanto, un onere accessorio alla corresponsione del compenso medesimo. Quindi, il trattamento di fine mandato risulta spettare solamente nell’ipotesi in cui lo statuto o l’assemblea dei soci lo abbiano espressamente previsto e non può, invece, essere inteso quale un diritto dell’organo amministrativo, come invece accade nell’ambito del lavoro dipendente.
Alla stessa volontà dei soci è rimessa (in sede costitutiva o successivamente mediante delibera assembleare) anche la possibilità di anticipare il fondo accantonato sino a quel momento, fissando le condizioni che lo legittimano.
Venendo alla disciplina fiscale del trattamento di fine mandato, occorre distinguere tra quella da applicarsi in capo alla società erogante, rispetto a quella prevista per il soggetto percipiente.
1. Società
Il regime fiscale del trattamento di fine mandato agli amministratori (TFM) è disciplinato dall’art. 105, comma 4 del T.U.I.R., il quale prevede che “Le disposizioni dei commi 1 e 2 valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17, comma 1, lettere c), d) e f).” Il legislatore fiscale, con la suddetta disposizione opera così due tipologie di rinvio: uno ai primi due commi dell’art. 105 del T.U.I.R., dove individua il trattamento fiscale applicabile alle erogazioni in questione, ed un secondo, all’art. 17, comma 1, lettera c) del T.U.I.R., individuando specificamente tali somme.
In particolare, il comma 1 dell’art. 105 del T.U.I.R., dispone espressamente che “Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell’art. 2117 del codice civile, se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi.”
L’art. 17, comma 1, lett. c) del T.U.I.R. individua tali somme (stabilendo i requisiti per l’applicazione della tassazione separata in capo al percipiente) nelle “indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 1, lett. c-bis) dell’art. 50, se il diritto all’indennità risulta da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto (…).”
Riguardo al trattamento fiscale di tali somme in capo alla società, sono venute a formarsi nel tempo due correnti interpretative, che hanno letto in senso opposto le regole sulla deducibilità sopra riportate.
1° Orientamento
Secondo un primo orientamento (decisamente più rigoroso), l’espresso riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 17, comma 1, lett. c) del T.U.I.R. deve essere inteso come implicito richiamo delle condizioni ivi indicate, indi per cui l’accantonamento sarebbe deducibile solo sono rispettate tali condizioni. In mancanza risulterebbe, invece, applicabile la disciplina ordinaria prevista per i compensi erogati agli amministratori, ovverosia la deducibilità degli stessi nell’esercizio del loro effettivo pagamento, secondo il principio di cassa.
In tal senso si sono espresse, con ragioni differenti, sia l’Agenzia delle Entrate (Risoluzione del 22.05.2008 n.211) sia la Cassazione (sentenza del 14.05.2007 n.10959).
In merito a questo primo orientamento, ai sensi del quale il requisito della data certa giocherebbe un ruolo fondamentale per l’applicazione del principio di competenza alle quote di TFM accantonate in luogo del principio di cassa, è anche vero che tale condizione sarebbe sempre osservata qualora la società abbia nel proprio statuto tale previsione. In tale ipotesi, infatti, il diritto alla percezione di tale trattamento sorgerebbe al momento della costituzione, per atto pubblico, della società stessa.
Lo stesso discorso potrebbe estendersi al caso in cui la previsione, nello Statuto, venisse inserita, attraverso una modifica apposita.
Qualora, invece, lo Statuto non prevedesse alcunché, si potrebbe comunque ovviare al problema, effettuando una delibera assembleare che preveda il trattamento di fine mandato e che, tuttavia, sia precedente all’accettazione dell’incarico da parte dell’organo amministrativo.
In tal caso, al fine di garantire il requisito dell’anteriorità della previsione rispetto all’inizio del rapporto, bisognerebbe avere:
1) una nuova nomina, oppure
2) l’interruzione del rapporto. In tal modo la nomina dell’amministratore o la sua conferma ben potrebbero rappresentare l’inizio del nuovo rapporto. Qualora l’amministratore non fosse di nuova nomina, lo stesso dovrebbe dimettersi e attendere la delibera di conferimento del nuovo incarico, in cui si dovrebbe riportare espressamente la previsione dell’indennità di fine mandato.
Al fine di garantire il requisito della “data certa”, secondo l’AIDC (norma di comportamento n.180 di aprile 2011, che riprende la precedente n. 125 di aprile 1995) essa può risultare da:
a) l’estratto notarile del libro della delibera assembleare interessata;
b) la vidimazione notarile del libro stesso ex art. 1 del R.D.L. 14 luglio 1937, n.1666;
c) la notifica rituale all’amministratore della delibera in questione (da parte dell’ufficio giudiziario o mezzo equivalente);
d) l’invio all’amministratore della copia della delibera a mezzo raccomandata in plico senza busta;
e) la registrazione della delibera presso l’Agenzia delle Entrate.
2° Orientamento
In pieno contrasto con il suddetto orientamento si è posta l’AIDC, la quale recentemente, tornando sulla questione, ha affermato che il regime di deducibilità per competenza dell’indennità di fine rapporto si rende applicabile a prescindere dal fatto che il diritto all’indennità venga stabilito anteriormente all’inizio del rapporto, in sede di nuova nomina degli amministratori il cui mandato è venuto a scadenza o in costanza di rapporto (norma di comportamento n.180 di aprile 2011).
L’AIDC evidenzia che la disposizione contenuta nel comma 4, art. 105 del T.U.I.R., non fa altro che disporre, tramite il rimando all’art. 17, comma 1, lett. c), d), e f), l’applicazione di quanto contenuto nei primi due commi dell’art. 105 del T.U.I.R. anche alle indennità ivi individuate. A tale rimando deve, pertanto, essere ascritta unicamente la funzione di individuare le tipologie di indennità agevolabili, e non di assoggettare tale estensione alle particolari condizioni contenute nell’art. 17 medesimo. In tal caso, la stessa AIDC rileva che il comma 4 dell’art. 105 avrebbe dovuto subordinare esplicitamente tale estensione al verificarsi delle condizioni contenute nelle lettere dell’art. 17, comma 1, citate.
Inoltre, l’AIDC, effettuando una ricostruzione normativa della disposizione in commento, precisa che l’applicazione del principio di cassa alla deducibilità dei compensi percepiti dagli amministratori sia stata introdotta nel periodo d’imposta successivo a quello di introduzione della disciplina in materia di deducibilità degli accantonamenti al trattamento di fine rapporto. Pertanto al momento dell’introduzione dell’art. 105 del T.U.I.R. il legislatore non aveva alcuna ragione di vincolare la deducibilità degli accantonamenti al requisito della data certa, dato che al momento non esisteva alcuna preoccupazione di natura elusiva in capo alla società; infatti, tanto gli emolumenti quanto l’accantonamento risultavano comunque deducibili per competenza e non per cassa.
2. Percipiente (Amministratore)
Per ciò che riguarda il trattamento fiscale del TFM in capo all’amministratore, l’art. 17, comma 1, lett. c) del T.U.I.R. prevede espressamente, ove vengano osservati i requisiti posti dalla normativa, la possibilità di applicare la tassazione separata.
Ove, infatti, il diritto all’indennità risultasse da atto con data certa anteriore all’inizio del rapporto, l’amministratore potrebbe optare per la tassazione separata, in luogo di quella ordinaria.
Se così fosse, l’imposta relativa all’indennità verrebbe determinata sulla base di un’aliquota pari alla metà del reddito complessivo netto dichiarato dal contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui viene percepita detta indennità, prescindendo, dunque, dalla normale applicazione delle aliquote per scaglioni di reddito.
Il prelievo fiscale opererà così in due fasi:
- al momento dell’erogazione: la società, in qualità di sostituto di imposta, effettuerà una ritenuta a titolo di acconto nella misura del 20% sull’ammontare imponibile dell’indennità (art. 24, comma 1, del D.P.R. n.600/1973);
- successivamente l’Amministrazione finanziaria provvederà a liquidare e ad iscrivere a ruolo l’imposta in via definitiva, sulla base, appunto, del reddito medio relativo al biennio precedente,
L’analisi di convenienza tra i due differenti metodi di tassazione scaturirà dal confronto tra i redditi dell’anno di erogazione dell’indennità, con il reddito medio dei due anni precedenti: solo nel caso in cui detto reddito medio fosse di gran lunga più elevato rispetto a quello di erogazione del TFM, allora varrebbe l’applicazione della tassazione ordinaria. In ogni caso, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del T.U.I.R., in sede di conguaglio l’Amministrazione finanziaria applicherà la tassazione più favorevole al contribuente (ovvero la tassazione ordinaria in luogo di quella separata).
2.1. Tassazione in ipotesi di anticipazione del TFM (regime della tassazione separata)
Infine, non si può omettere il caso in cui l’amministratore chiedesse, ottenendolo, un anticipo del TFM prima del termine del mandato, previa deliberazione assembleare come ricordato in premessa.
L’amministratore che riceve un’ anticipazione sul TFM subirà in successione temporale, i seguenti prelievi fiscali:
– in una prima fase la ritenuta a titolo di acconto del 20% operata dalla società in quanto sostituto di imposta;
– in un secondo momento verrà operato un primo conguaglio provvisorio da parte dell’Amministrazione finanziaria che provvederà a determinare l’imposta applicando all’ammontare percepito, l’aliquota corrispondente alla media del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto alla percezione. La maggiore imposta rispetto al prelievo del 20% operato dalla società viene iscritta a ruolo;
– infine, quando verrà corrisposto il saldo al termine del mandato, l’amministratore subirà dapprima la ritenuta a titolo di acconto del 20% operata dalla società, e poi il conguaglio definitivo da parte dell’Amministrazione finanziaria che terrà conto delle anticipazioni fatte a suo tempo.
In ultima alcune considerazioni di carattere previdenziale.
L’assimilazione, a far data dal 1° gennaio 2001, dei redditi di collaborazione coordinata e continuativa a quelli di lavoro dipendente ha posto il dubbio se il TFM fosse da equiparare, anche ai fini previdenziali, al trattamento di fine rapporto e potesse quindi considerarsi esentato dal contributo alla Gestione separata dell’INPS.
La nota INPS, prot. 27/7265 del 15 marzo 2002 ha affermato che il TFM costituisce un compenso che trae origine dal rapporto di collaborazione e, come tale, è da assoggettare al contributo dovuto alla Gestione separata entro il massimale, secondo il “principio di cassa”.
Sempre l’INPS ha precisato che il contributo previdenziale si calcola sull’importo dell’indennità al lordo della ritenuta fiscale del 20%.
Si consiglia, pertanto, di comunicare il dato al consulente del lavoro per il relativo cedolino, come anche per la causale “anticipo sul TFM”.
Analoghe considerazioni devono ovviamente valere anche per le eventuali anticipazioni del trattamento in questione.